giovedì 16 aprile 2020

LA MIA RIVINCITA PIU' BELLA - Racconto di Jacopo De Marchi -#restiamouniti



Conta l'attimo, quella frazione che ti permette di svoltare o ti fa scendere nei più bui abissi. Jacopo De Marchi, "veterano" della nazionale giovanile di atletica, vive la fuga delle speranze, costruite con la pazienza del cesellatore e con il tempo della pietra, bruciando tutto con la velocità che ha il fuoco accompagnato dal vento. Sembrerebbe non rimanere che poca cenere, ma non è così...
Grazie Jacopo!

Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000


Parrebbe troppo semplice per me, come ha fatto il mio amico Matteo Spanu, parlare della gara più bella della mia vita. Invece no, in questo breve spazio concessomi ho deciso di raccontarvi di qualcosa che per me è stato molto più forte. Era il 9 dicembre 2018, un europeo di cross, in Olanda. Vi racconto della mia più grande delusione sportiva, Tilburg 2018.


Dopo un’estate travagliata la mia testa era ormai indirizzata all’autunno, verso le fatidiche (e ormai usuali) qualificazioni per gli europei. La competizione era altissima. Mi sentivo piccolo e inesperto messo di fronte a professionisti e ragazzi che di polenta ne avevano mangiata sicuramente più di me per poter correre 10km di campestre. Invece sorpresi tutti, compreso me. Mi riuscii a qualificare come terzo, per poter correre il mio terzo europeo consecutivo sui prati. Questo però avrebbe avuto tutto un altro gusto. Finalmente mi sentivo pronto. Le gare di novembre mi avevano lasciato qualcosa che nessun buon allenamento o belle parole possono lasciarti: la consapevolezza. Consapevolezza di poter finalmente fare la differenza e dimostrare (in primis a me stesso) di che cosa fossi capace. 

Sì, ero davvero pronto. Come non mai.

La mattina della gara pioveva, tanto, e il cielo non dava segni di cedimento. Il percorso era un cross di quelli veri, “il mio percorso” pensai il giorno prima della gara. Il fango abbondava, sali-scendi, curve a gomito. La voglia era davvero grande, più della tensione. La partenza in testa a tutti gli altri italiani della mia squadra ne fu sicuramente la prova. Una sensazione strana essere lì, vicino ai grandi d’Europa, ai nomi e cognomi che ormai avevo imparato a memoria e avevo finalmente l’occasione di collegare a dei volti. Mi sembravano così simili a me. Era la prima volta dopo due anni di gavetta tra gli juniores. Ma la favola finì presto.

Bastarono due minuti e mezzo circa per distruggere ogni mia speranza. Mi crollò tutto addosso, in meno di un secondo. Un colpo da dietro, in mezzo alla foga del gruppone subito dietro la testa della corsa. Un colpo in basso, sul tallone, mi sfilò quella maledetta scarpa chiodata destra di colore arancione che mai riuscirò a dimenticare. Provai a correre, qualche metro, nella speranza che fosse tutto finto, che non fosse reale. E invece dovetti scendere subito a patti con la realtà, mi fermai a fianco del percorso e la rinfilai, con una difficoltà unica. Tutti mi passarono a fianco in quegli infiniti trenta secondi, come fossi un fantasma. E lo divenni. Non mi ritirai, non è nel mio stile farlo con la maglia della nazionale, ma fu la gara peggiore della mia vita. 
Totalmente da dimenticare.

Ed è qui il motivo per cui ho voluto ricordarla oggi, perché io non la volli mai dimenticare. Ci costruii un intero anno di allenamenti, con una voglia di rifarmi senza precedenti. E così fu. Mi rifeci, con gli interessi (direi esponenziali), un anno più tardi, con le stesse scarpe arancioni, su un prato diverso. A Lisbona, settimo. IL sogno, condito con un argento a squadre.

Non posso essere certo che se non fossi passato per l’esperienza di Tilburg sarei riuscito a fare quello che ho fatto a Lisbona, ma cavolo di una cosa sono sicuro. L’emozione non sarebbe stata la stessa.


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