martedì 26 aprile 2016

RACE - il film sulle imprese di Jesse Owens


Visione del film RACE 


il film sulle imprese di Jesse Owens


Codroipo - Cinema Benois De cecco

14 e 15 maggio ore 18.00 e 21.00

in collaborazione con il Circolo Lumiere di Codroipo 



TRAILER AL LINK:
https://www.youtube.com/watch?v=n5QhTYQ30mE

RECENSIONE DA COMINGSOON.IT


10 secondi, decimo più, decimo meno, per alcuni sono il lavoro, la fatica, il riscatto di una vita. Dimostrare di essere l’uomo più veloce del mondo è innanzitutto una sfida con se stesso, la realizzazione di anni di sacrifici bruciati in un attimo. Ma può diventare molto di più quando lo sport, specie quello olimpico che per sua natura dovrebbe essere puro, finisce al centro di interessi e conflitti che con il nobile spirito di De Coubertin hanno poco a che vedere. Ecco allora che non basta partecipare ma bisogna vincere, e il peso delle responsabilità che grava sulle spalle di un essere umano rischia di schiacciarlo.
Race – Il colore della vittoria è al momento l’unico biopic sull’eroe dei Giochi di Berlino del 1936, Jesse Owens, che è riuscito ad arrivare sullo schermo. La Disney ne annunciò un altro tre anni fa con Antoine Fuqua alla regia, probabilmente obliterato da progetti più redditizi. A distanza di 80 anni dalle sue imprese, resta il fatto che il cinema si è finalmente deciso a celebrarle. Della leggenda si sa molto, della verità storica poco.
Jesse è giovane un atleta di colore che, nell’America ancora segregata degli anni Trenta, riesce tra mille sacrifici a farsi accettare alla prestigiosa Ohio University, dove i coloured sono in nettissima minoranza e hanno vita dura. Lo sport dei bianchi è il football ma in atletica i neri si fanno già valere. Ed è lì che, che allenato con passione da Larry Snyder, che intuisce la perla dentro l’ostrica, in una sola giornata e in meno di un’ora Owens batte quattro record del mondo e si avvia a vincere le fatidiche quattro medaglie d’oro, proprio alle Olimpiadi con cui il Terzo Reich intende celebrare la sua forza e la sua superiorità razziale sul mondo, e alle quali l’America decide di partecipare dopo un acceso dibattito pro e contro il boicottaggio che spacca in due il Comitato Olimpico.
Forse è questo l’aspetto meno noto della vicenda raccontata nel film: da un lato il costruttore Avery Brundage, che sembra condividere le preoccupazioni generali ma vede anche nel Terzo Reich un’occasione di arricchimento personale e dall’altro il giudice Jeremiah Mahoney, che chiede una risposta forte contro il razzismo e le persecuzioni degli ebrei. E’ l’eterno dibattito sul fatto se lo sport sia la forma più pura di competizione umana e dunque non vada “sporcato” con la politica, o se anche gli atleti siano cittadini del mondo che con la loro presenza agli eventi organizzati da paesi antidemocratici rischiano di avallarne l'immagine. Quali ne fossero le ragioni e le pressioni esercitate sul povero Jesse in un senso e nell’altro, anche da parte della comunità afroamericana, il sogno era soltanto suo, anche se le sue vittorie divennero un simbolo universale.
Fortemente voluto e approvato dalle figlie del campione, questo onesto e robusto biopic manca di una sceneggiatura capace di spiccare il volo e di elevarsi sopra il consueto copione del film edificante, in cui non manca nessuno dei luoghi comuni del genere, dalla caduta dell’eroe con la donna bella e libera prima del ritorno a casa, pentito, dalla compagna e dalla figlia, a battute così prevedibili da essere facilmente anticipate dallo spettatore (se ci avessero dato un euro ogni volta che abbiamo sentito in un film americano: “perché non me l’hai mai detto?”, “perché non me l’hai mai chiesto”, a quest’ora saremmo ricchi).
Non è difficile intuire le licenze poetiche prese dagli autori sulla storia reale: si sa per certo che Luz Long, diretto concorrente di Owens, che ammirava e di cui divenne amico, dette dei consigli all’atleta per aiutarlo in un momento di difficoltà, ma del fazzoletto non si è mai sentito parlare, così come non ci sono testimonianze sulle interazioni dirette della regista di Olympia Leni Riefenstahl col campione americano, anche se sono noti i suoi contrasti con Goebbels e il fatto che non fu mai iscritta al Partito Nazista. Con altri sceneggiatori sicuramente Race sarebbe stato più potente nella sua denuncia del razzismo e più esaltante nei momenti di gloria, ma sorvolando sui difetti del copione, è un film che non manca di buoni spunti e resta una visione piacevole e coinvolgente.
A partire dal suo maggior pregio: il protagonista Stephan James, che avevamo visto in Selma e che conferma l’ottima impressione che ci aveva fatto, con la sua aderenza anche fisica al personaggio (e non deve essere stato semplice). Ci è piaciuta anche la sua controparte, un insolito Jason Sudeikis che si sottrae per una volta alle grinfie di orribili boss e relative commedie, offrendo una convincente interpretazione della figura del coach appassionato e partecipe ma in disgrazia presso le alte sfere. Se è poi un grande piacere osservare Jeremy Irons nella sua puntuale caratterizzazione di Brundage, è un po’ sacrificato l’apporto di William Hurt, un attore che vorremmo rivedere in ruoli più cospicui.
Alla fine, ciò che conta ed emerge dal film è lo straordinario sforzo atletico e la volontà di un uomo che poco guadagnò dalla sua fama e e che viveva in un'epoca difficile: se per tutta la vita ha ripetuto che Hitler non se ne andò per non stringergli la mano e che invece lo salutò, ha anche affermato che il suo presidente, Roosevelt, non gli inviò nemmeno un telegramma. E’ un bene che un film ricordi a tutti noi il valore delle sue imprese e del suo esempio, anche se restiamo dell’opinione che un po’ meno di luoghi comuni e un po’ più di coraggio nel rappresentarne la storia avrebbero reso anche maggior giustizia a questo autentico campione sportivo ed umano.

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