sabato 11 aprile 2020

IL MIO GIORNO MIGLIORE - Racconto di Matteo Spanu - #restiamouniti




La prima volta che ho sentito parlare di Matteo Spanu è stato credo 12-13 anni fa quando suo zio, bancario, mi ha confidato che il nipote aveva iniziato a fare atletica grazie ad un'ottima prestazione in una gara non competitiva. 
In pista, sin da Cadetto, ho avuto il privilegio di poter ammirare la sua facilità e fluidità di corsa e di capire, sentendolo parlare, che oltre al buon motore c'era anche testa e passione.
L'ho sempre pensato un vincente, a differenza di quello che lui sostiene, perché ha sempre progredito e chi progredisce sa mettersi in discussione.
Oggi ho proposto a Matteo di scrivere liberamente un racconto sull'atletica e su se stesso. Lui mi ha risposto prontamente: "te lo scrivo di getto". Dopo circa mezz'ora ho trovato nella email questo pezzo.
Quella volata ce l'ha ancora dentro viva e pulsante. 

Matteo Tonutti D.S. Atletica 2000

IL MIO GIORNO MIGLIORE - Racconto di Matteo Spanu

Quel 28 luglio 2019 la mia vita è cambiata. Anzi, è stata letteralmente ribaltata.

E il bello è che l’ho ribaltata proprio io, nel giro di 100 metri. Sì perché sul rettilineo finale della pista verde di Bressanone è successo qualcosa di strano, di nuovo, di unico. 
Su quel rettilineo, per la prima volta in 11 anni di atletica leggera, mi sono ritrovato davanti a tutti a un campionato italiano. E non a un campionato italiano qualsiasi, ma a un campionato italiano assoluto! 

In tanti mi hanno chiesto “te lo aspettavi?”. E io prontamente avevo sempre risposto “no”, senza troppa esitazione. Ma più ci ripenso e più mi accorgo che davvero è bastato crederci, anche solo per un secondo. E quel secondo, per la precisione, è stato il secondo numero 28, dopo 3 minuti di intensa corsa su quell'anello, di battaglia tra me e gli altri avversari. 

A 3’28” di gara è scattato qualcosa nella mia testa. Una voce, un sensazione, un istinto, una fame di dovermi andare a prendere quel podio, quella medaglia. Nemmeno io sapevo bene che medaglia sarebbe stata. Di certo non mi aspettavo quella più preziosa. Quella proprio neanche l’avevo messa in conto nei miei pensieri. 
Eppure eccomi lì, senza più nessun riferimento davanti: solo io contro me stesso in quel rettilineo finale. Sembrava un sogno, o meglio, il sogno, quello che avevo fatto per tutto l’anno durante i miei allenamenti solitari. 
E invece era tutto vero. Il tifo della gente alla mia destra si era fatto improvvisamente ovattato, quasi remoto. In me, nell’impeto di quella volata da tutto o niente, c’era un misto di emozioni di ogni genere: paura, concentrazione, tensione, decisione… 
Era davvero la volata della vita quella che stavo facendo, senza rendermene conto. Una volta tagliato il traguardo, quel passaggio è stato come il primo passo in una nuova dimensione, tanto grande e sconosciuta da farmi sentire per un istante spaesato. 

Davvero non sapevo cosa fare, non sapevo cosa stesse succedendo. Del resto non mi ero ancora convinto dentro di me che tutto quello che stavo vivendo era vero: sembrava proprio uno dei miei sogni ricorrenti. Ma c’è voluto poco per svegliarmi e realizzare che stava accadendo sul serio: dopo 11 anni, ero campione italiano. 
Io, l’eterno secondo, l’eterno inseguitore. Io, che non avevo mai vinto titoli italiani giovanili, né avevo mai vestito maglie azzurre, nonostante i tanti sacrifici. 

Il primo a scuotermi da quello strano torpore, proprio tipico di chi si sta svegliando, fu il secondo arrivato, Pietro Arese, che prima di grande avversario si era dimostrato grande amico. Io e lui, due atleti civili, di fronte agli atleti dei gruppi sportivi militari… non sembrava vero. 

Dopodiché corsi subito a bordopista dove mi stavano aspettando i miei compagni di squadra, e soprattutto una persona: uno dei principali artefici del mio successo, il mio allenatore Sandro Pirrò. Quel trionfo era soprattutto suo. Per tutti quegli anni avevamo lavorato con costanza, silenziosamente, raccogliendo quello che avevamo potuto, facendo tesoro degli errori… e ora eravamo lì, in cima alla vetta più alta. 
Neanche in un film si sarebbe potuto prospettare un finale migliore. 

Ma nonostante tanta strada, tante difficoltà, tante paure di non farcela, di aver perso ormai il fatidico “treno che passa una volta sola”, ora lo potevo dire: ne era valsa assolutamente la pena.


VIDEO INTERVISTA A MATTEO SPANU - TELEFRIULI

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