Conta l'attimo, quella frazione che ti permette di svoltare o ti fa scendere nei più bui abissi. Jacopo De Marchi, "veterano" della nazionale giovanile di atletica, vive la fuga delle speranze, costruite con la pazienza del cesellatore e con il tempo della pietra, bruciando tutto con la velocità che ha il fuoco accompagnato dal vento. Sembrerebbe non rimanere che poca cenere, ma non è così...
Grazie Jacopo!
Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000
Parrebbe
troppo semplice per me, come ha fatto il mio amico Matteo Spanu, parlare della gara
più bella della mia vita. Invece no, in questo breve spazio concessomi ho
deciso di raccontarvi di qualcosa che per me è stato molto più forte. Era il 9
dicembre 2018, un europeo di cross, in Olanda. Vi racconto della mia più grande
delusione sportiva, Tilburg 2018.
Dopo un’estate travagliata la mia testa era ormai indirizzata all’autunno, verso le fatidiche (e ormai usuali) qualificazioni per gli europei. La competizione era altissima. Mi sentivo piccolo e inesperto messo di fronte a professionisti e ragazzi che di polenta ne avevano mangiata sicuramente più di me per poter correre 10km di campestre. Invece sorpresi tutti, compreso me. Mi riuscii a qualificare come terzo, per poter correre il mio terzo europeo consecutivo sui prati. Questo però avrebbe avuto tutto un altro gusto. Finalmente mi sentivo pronto. Le gare di novembre mi avevano lasciato qualcosa che nessun buon allenamento o belle parole possono lasciarti: la consapevolezza. Consapevolezza di poter finalmente fare la differenza e dimostrare (in primis a me stesso) di che cosa fossi capace.
Sì, ero davvero pronto. Come non mai.
La mattina
della gara pioveva, tanto, e il cielo non dava segni di cedimento. Il percorso
era un cross di quelli veri, “il mio percorso” pensai il giorno prima della
gara. Il fango abbondava, sali-scendi, curve a gomito. La voglia era davvero grande,
più della tensione. La partenza in testa a tutti gli altri italiani della mia
squadra ne fu sicuramente la prova. Una sensazione strana essere lì, vicino ai
grandi d’Europa, ai nomi e cognomi che ormai avevo imparato a memoria e avevo
finalmente l’occasione di collegare a dei volti. Mi sembravano così simili a
me. Era la prima volta dopo due anni di gavetta tra gli juniores. Ma la favola
finì presto.
Bastarono
due minuti e mezzo circa per distruggere ogni mia speranza. Mi crollò tutto
addosso, in meno di un secondo. Un colpo da dietro, in mezzo alla foga del
gruppone subito dietro la testa della corsa. Un colpo in basso, sul tallone, mi
sfilò quella maledetta scarpa chiodata destra di colore arancione che mai
riuscirò a dimenticare. Provai a correre, qualche metro, nella speranza che
fosse tutto finto, che non fosse reale. E invece dovetti scendere subito a
patti con la realtà, mi fermai a fianco del percorso e la rinfilai, con una
difficoltà unica. Tutti mi passarono a fianco in quegli infiniti trenta
secondi, come fossi un fantasma. E lo divenni. Non mi ritirai, non è nel mio
stile farlo con la maglia della nazionale, ma fu la gara peggiore della mia
vita.
Totalmente da dimenticare.
Ed è qui il
motivo per cui ho voluto ricordarla oggi, perché io non la volli mai dimenticare.
Ci costruii un intero anno di allenamenti, con una voglia di rifarmi senza
precedenti. E così fu. Mi rifeci, con gli interessi (direi esponenziali), un
anno più tardi, con le stesse scarpe arancioni, su un prato diverso. A Lisbona,
settimo. IL sogno, condito con un argento a squadre.
Non posso essere
certo che se non fossi passato per l’esperienza di Tilburg sarei riuscito a
fare quello che ho fatto a Lisbona, ma cavolo di una cosa sono sicuro.
L’emozione non sarebbe stata la stessa.
Jacopo De Marchi
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