lunedì 20 aprile 2020

LA MIA STORIA DI CORSA - Racconto di Luca Mestroni - #restiamouniti




Questo racconto mi coinvolge direttamente e contiene intrinsecamente uno dei motivi per i quali credo nello sport come attività complementare all'esistenza. L'atletica leggera, ben masticata quotidianamente, diventa un moltiplicatore di inclusione sociale. 
Con l'attività sportiva si esercita la mente ad utilizzare la propria "strumentazione" o meglio, gli strumenti che si hanno in dotazione e, aggiungendoci tanta tantissima passione, si accetta al proprio fianco la compagna fatica. Fatica che ti accomuna con l'altro, fatica che ti fortifica prima lo spirito e poi il fisico. 
Luca ne è l'esempio, è sostanza che lotta con strenuo coraggio con la forma, il proprio corpo che non sempre risponde, ma lui va oltre, è oltre. Luca è il limite che unisce il mondo paralimpico ed il mondo olimpico cucendo questo confine, tra alti e bassi della propria salute, come fosse lui l'ago che conduce il filo.

Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000

In queste lunghe settimane da recluso in casa, causa nota pandemia virale, dopo l’attività fisica domestica in modalità “criceto-style”, una delle attività predominanti, davanti alla tv, risulta il vorticoso muovere di pollici sul telecomando. Lo sport trasmesso, ora, è sempre quello del passato. Così, qualche sera fa e per caso, mi sono imbattuto nella finale del Mondiale di Calcio 2006 tra Italia e Francia.



La mia mente viene immediatamente catapultata a quella sera di quel caldo luglio di quattordici anni fa. Un ricordo dolce (solo per la partita) con parecchi riflessi drammatici per me. Assistetti a quella partita nella saletta tv del reparto di neurologia dell’ospedale di Udine. Questa stanzetta era talmente piena che sembrava di stare accalcato sugli spalti dello stadio La Bombonera di Buenos Aires. Purtroppo mancavano le birre ma, in compenso, più di qualche flebo cortisonica dondolava da varie aste metalliche. In quel particolare periodo, alla dimissione dall’ospedale, mi fu diagnosticata la sclerosi multipla.



Nelle lunghe giornate in reparto lessi molto. Alcune righe lette su una rivista che parlava di montagna mi rimasero impresse indelebilmente. Una frase di Robert Frost che cita: “Due strade trovai nel bosco ed io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso”.

Mi piacque immediatamente perché nella mia vita, fino a quel momento, avevo sempre scelto la strada più semplice e scontata.

Uscito dall’ospedale ancora confuso e disorientato non riuscii a concretizzare fin da subito i dettami di ribellione di quella frase. Non mi aiutava il fatto di sentirmi sempre svuotato, disorientato, apatico. Minato nel fisico e nello spirito passavo lunghi pomeriggi a riposare con l’auspicio di ritrovare energie e convinzioni e, invece, mi svegliavo sempre fiacco e svogliato. Decidetti di vendere la mia bici da strada. “Come faccio a ritornare in sella a quella roba lì!” pensavo. Di lì a pochi mesi subii una ricaduta della malattia inaspettata e fulminea. E’ il periodo natalizio e le gamba destra si blocca, non risponde ai miei comandi. E’ un sacco di patate, me la trascino letteralmente con le braccia. Il problema permane per diverse settimane. Con fatica esco da questo incubo. E’ a questo punto che riesco a raschiare le ultime energie e convinzioni in fondo al barile. Mi ribello a Lei, alla Sclerosi Multipla, scelgo di virare dalla parte opposta rispetto al sentiero che mi vuole tracciare. A far scoccare la scintilla è sempre la lettura di una rivista. Leggo un articolo che tratta la Via Francigena, del tratto tra Fidenza e Lucca.

Avviene tutto in pochi giorni. Mi prendo le ultime ferie, preparo la zaino e parto. Da solo, a costo di arrivare alla meta strisciando. Numerosi sbagli sul percorso mal tracciato, giornate in solitaria, esperienze con cani randagi, fatica, vesciche, vento e pioggia ma alla fine Lucca è conquistata in dieci giorni e dopo 220 chilometri! Emozione e nuova linfa vitale scorre ora dentro di me, ottimismo ed autostima ritrovati.

Tutto finito, dimenticato? Malattia silenziata? Macché ! Ricadute simili alla precedente si ripresentano negli anni successivi. Resisto, ogni volta, con tutte le mie forze, mi oppongo alle giornate burrascose e, al primo debole raggio di sole, cerco di caricarmi per oltrepassare il guado. Nei periodi buoni l’attività fisica nella natura, specie in montagna, diventa il mio mantra. Riguadagno vigoria fisica. Riesco a camminare per ore ma correre non mi viene ancora naturale. Frequento il gruppo del Club Alpino Italiano di Udine, nessuno è a conoscenza della mia malattia quando improvvisamente ricevo questa proposta: “Luca, vieni a correre con il nostro gruppo un’ora alla staffetta Telethon?”.

Di primo acchito non riesco a negarmi ma la mia mente è già pronta ad escogitare una scusa per evitare questo appuntamento. Una improvvisa quanto non veritiera distorsione alla caviglia e lo spauracchio di questa ora di corsa è bello evitato.

Mi sono già procurato questa scusa “di scorta” ma decido, comunque, di mettere nel mirino questo obiettivo nonostante trovassi la corsa monotona e accusassi qualche problema di equilibrio. I primi allenamenti sono difficili, faticosi a volte scoraggianti ma riesco con caparbietà, ad ogni occasione, ad allungare il percorso. Alterno corsa e camminata. Arrivo a quell’albero, il giorno successivo lo supero, riesco a svoltare quella curva che in precedenza vedevo lontano. Ogni giorno un nuovo riferimento. Inaspettatamente non ricorro alla mia bugia, alla mia ancora di salvezza della caviglia slogata e, alla fine, corro per un’ora intera per le vie del centro di Udine sotto una fredda pioggia dicembrina. E’ la svolta! Che forza ha lo sport! Ha il potere di silenziare la tua mente che ti ripete: “Non ce la fai!”. Ti permette di concentrarti sui tuoi sforzi, sul tuo respiro e di trarre beneficio dalle sconfitte momentanee in attesa della prossima sfida personale. 

Ho imparato una cosa. Devo ascoltare e capire gli stimoli che mi vengono dall’esterno tipo una lettura, un invito, una proposta. Passano poche settimane e ricevo una nuova “avance”. E piuttosto scabrosa direi! Franco Castellani dell’Atletica 2000 di Codroipo mi adocchia durante la oramai famosa NUMAR1NING codroipese del primo dell’Anno del 2013 e mi propone di aggregarmi al gruppo di allenamento del mercoledì sera al campo sportivo. Accetto e di lì a poco mi trovo iscritto ad una squadra di atletica. Per me l’atleta, quello che corre sulle piste, era un essere umano superiore, un predestinato. Io, invece, ho polmoni mediocri, i piedi piatti ed in più la sclerosi multipla ma nessuno lo sa! Le prime gare con il pettorale addosso sono indimenticabili. Comincio con le mezze maratone ma poi decido di rilanciare. Vado a correre in montagna! Sui monti c’ho sempre camminato, anche da sano, ora ci vado a correre pur essendo sclerotico e per di più multiplo! E’ la scoperta di un nuovo mondo. Partecipo alle più conosciute gare dei nostri monti. Mi piazzo anche in posizioni dignitose, mi sento quasi un super eroe. Ma lei, la mia scomoda compagna di viaggio ogni tanto si fa sentire e, nel 2016, dopo qualche anno di relativo benessere mi blocca di nuovo. Nel frattempo i miei compagni di corsa vengono a conoscenza del segreto nascosto. Stringo i denti, mi curo, per fortuna comincio a sentirmi meglio quando, inaspettatamente, ricevo un’altra proposta, veramente “indecente” questa volta! Matteo Tonutti, dirigente della mia squadra mi consiglia di conoscere Marcello Bortolotti ed il suo progetto. 

Lo contatto. Sta imbastendo un programma ambizioso e di solidarietà e chiede la partecipazione anche di persone che abbiano combattuto e vinto o convivano con malattie insidiose. Bisognerà “solo” sgambettare sull’intera Traversata Carnica da San Candido a Tarvisio in quattro tappe per 177 km e oltre 10mila metri di dislivello. Una pazzia! Ho ancora qualche acciacco fisico dall’ultima ricaduta ma è l’ennesimo stimolo esterno che devo assecondare. Siamo sotto Natale e Marcello pianifica un programma di allenamento ben calibrato per questa corsa agostana. Conosco gli altri partecipanti. Si crea un gruppo affiatato e coeso dove ognuno dovrà sostenere quel compagno che andrà in difficoltà durante la traversata. Ogni allenamento è una piccola festa di divertimento, condivisione, conoscenza reciproca. Fatica, levatacce all’alba, sudore, momenti di sconforto, vesciche, bevute dai ruscelli, risate. Tutto questo ci condurrà fino all’arrivo di Tarvisio. Il taglio di questo traguardo è una gioia non misurabile, inaspettata, incredibile. Mi sono morso più volte le labbra per trattenere le lacrime distraendomi con la più buona birra che io abbia mai bevuto. In tutti questi anni di malattia le lacrime mi sono scese più volte ma quelle erano lacrime sgomente, di paura, di solitudine, di sopraffazione.

Lo spirito di lotta e di reazione alle avversità è diventato il mio credo, la benzina alla mia esistenza. Mi sento spesso come l’antennina di una chiocciola che, traumatizzata, si ritira dopo il tocco dispettoso del dito di un bambino ma che poi è sempre pronta a risollevarsi orgogliosa e fiera. Reminiscenze di ricordi infantili quando quel ditino era il mio!

Il mio pensiero va a quelle persone malate che entrano in una spirale di demotivazione, pessimismo e apatia nella reazione. “Esiste qualcosa che ti piace fare?” chiederei loro. Lo sport, un hobby, la cultura potrebbero essere risorse inesauribili, potenti strumenti di riscatto per vivere un’esistenza maggiormente coinvolgente e soddisfacente.

La mia speranza è quella di riuscire a collezionare il maggior numero di medaglie, pettorali, magliette ricordo di gare. Ma se non mi fossi ammalato avrei fatto tutto questo? Bella domanda! Azzardo una risposta. Probabilmente no! E’ stata la malattia ad innescare questa mia reazione, questa mia sfida continua verso le limitazioni che la sclerosi multipla impone. Lei è sempre presente, ogni tanto mi abbraccia stretto, cerca di farmi vivere momenti difficili e scoraggianti ma appena rilascia un po’ la presa tento di sorprenderla liberandomi in cerca di nuove mete.

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