Quando un professore diventa un maestro? Quando il solco che lascia dentro di noi diventa motivo di emulazione e quindi non solo di miglioramento personale, ma costruzione di un "attorno a SE" tale da darsi in funzione di un sistema ben più complesso del singolo. Non che il momento del miglioramento interiore non sia importante, ma se ciò non viene portato all'esterno per costruire qualcosa di più bello e buono, rimane come un bocciolo che non diventa fiore. Una potenza senza atto. Paola Carinato ci racconta del fiore che è sbocciato in lei dopo l'incontro con il Prof, pardon, con il Maestro Colle.
Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000
Sento ancora squillare il telefono in quel freddo sabato pomeriggio di gennaio del 1986 nella casa di Torreano di Cividale. “Pronto Carinato, sono il Prof. Abbiamo l’intenzione di partecipare ai CDS di corsa campestre ad Almè con la squadra femminile, ci sei ? Quel ci sei, detto dal Prof Colle, non era una domanda bensì un’affermazione.
Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000
Sento ancora squillare il telefono in quel freddo sabato pomeriggio di gennaio del 1986 nella casa di Torreano di Cividale. “Pronto Carinato, sono il Prof. Abbiamo l’intenzione di partecipare ai CDS di corsa campestre ad Almè con la squadra femminile, ci sei ? Quel ci sei, detto dal Prof Colle, non era una domanda bensì un’affermazione.
Da quando avevo iniziato a frequentare
l’Università di Trieste, mi allenavo con la squadra della Libertas Banca del
Friuli. Il Prof ci portava il pomeriggio sulle colline fuori Udine e facevamo
ripetute su per le colline di Fagagna. Era il mio primo appuntamento importante come mezzofondista. Avevo
vent’anni ed esperienza pari a zero. Avevo tanta volontà di diventare forte e
mi allenavo a Trieste durante la settimana e il fine settimana in pista a
Udine. Estate come inverno, percorrevo i 6km in bicicletta da Torreano a
Cividale per poi prendere la littorina fino a Udine, poi il bus dalla stazione
fino al Campo di Paderno. A volte, mi allenavo con dei pezzi da novanta : in squadra, quell’anno, entrò Manuela Di Centa
e c’era anche Rosanna Debegnach. Altre
volte, ero sola con il Prof che mi prendeva i tempi all’arrivo. L’immancabile
sigaretta in una mano e il cronometro nell’altra. Era un rapporto di gran
rispetto e stima. Mi insegnò non solo a correre, ma a costruire le gare un
passo alla volta.
“Paola,
ci sei ? Partiamo il sabato da Udine e alloggiamo a Bergamo, ripartiamo dopo la
gara. Sarete tu, Manuela e Rosanna.” “Prof, ma è sicuro di aver convocato
proprio me? Non sono ancora così forte.” “Tu non ti preoccupare, l’importante è
che tu finisca la gara. L’obiettivo è arrivare in fondo. FACCIAMO SQUADRA”.
Quel facciamo squadra per arrivare in fondo, mi lasciava uno spiraglio, a me
studentessa-atleta ancora a digiuno di gare importanti.
Quell’esperienza
competitiva fu per me allo stesso tempo esaltante e stimolante. Le ragazze mi
integrarono e ricordo ancora Manuela, nel box di partenza che mi spiegava come
partire bene per non rimanere imbottigliata nel gruppo delle concorrenti. Tra
le urla del pubblico all’arrivo, risuonano gli incitamenti delle mie compagne
di squadra, del prof e del dirigente societario.
La nostra squadra ottenne l’ottavo posto. Da allora, e come
allenatore, mi è rimasto questo atteggiamento di inclusione e ogni volta dico
ai miei atleti : “ Non ti preoccupare del risultato. Fai in modo di dare il
meglio di te stesso perchè è quella la tua medaglia”.
Grazie Prof.
Paola
Carinato
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