Matteo Tonutti
D.S. ASD Atletica 2000
Qualche settimana fa leggo un messaggio: “ti va di condividere un ricordo?”
Ci ho pensato e ripensato ma, nella mia mente offuscata e confusa
dall’anormale quotidianità di questo periodo storico, non c’era nulla che
valesse la pena di essere raccontato. Fino a una domenica qualunque, in cui
come tutte le mattine accendo il telefono, vedo la data ma rimango folgorata:
era il 10 maggio 2020. La mia mente in quel momento inizia ad elaborare freneticamente
i ricordi, perché quel preciso giorno non solo era la festa della mamma (auguri
a tutte), ma anche la ricorrenza di una data che mi cambiò profondamente e che
segnò la mia maturazione sportiva e la mia consapevolezza come atleta a tutti
gli effetti.
Sono passati 6 mesi dal sogno di una vita, la mia gara ai mondiali paralimpici di Dubai, che fu anche una giornata parecchio strana; cercherò ora di narrarvela.
Il 10 novembre 2019 fu un giorno speciale, sicuramente pieno di entusiasmo
per la gara imminente, ma anche perché successero delle cose assai fuori
dall’ordinario. Questo mi sorprese ancora, nonostante agli europei di Berlino,
l’anno prima, capitò un imprevisto analogo: mi venne chiesto di cambiare stanza
d’hotel il giorno della mia gara. Sarebbe stata una banalità se non fosse che
ero l’agitazione in persona, e quest’imprevisto fece frantumare il mio vaso di
Pandora; la gara fu infatti un disastro, perché terminai al 4o posto, a due
centimetri dal bronzo.
Questa volta, però, già la sera prima partì col piede sbagliato, quando le
porte dell’ascensore mi si chiusero sul ginocchio destro (quello di Emy) mentre
stavo uscendo direzione camera. Anche se ero psicologicamente ed emotivamente
stabile il fatto mi lasciò ugualmente perplessa, ma non ci diedi molto peso. Il
mattino seguente altra sorpresa: mi ritrovai il tecnico dell’hotel in camera perchè doveva
“controllare la tv”. Non l’avevo mai accesa, però gli lasciai fare il suo
lavoro, mentre mentalmente ridevo rumorosamente; “ci risiamo” mi dissi,
credendo la stranezza fosse finita lì. Invece era solo l’inizio.
Prima di pranzo dovevamo fare la foto di squadra all’aperto, vicino all’hotel, ma il cielo si ingrigì così tanto che fummo costretti a farla in hotel. Questo mi fece ricordare che era da giorni che tutti i volontari della manifestazione erano in estasi per la previsione di pioggia, evento più unico che raro considerando che la metropoli sorge nel deserto. Anche a ciò non badai molto perché mi dissi che le previsioni meteo sarebbero state inesatte, come spesso avviene. Nel primo pomeriggio, poco prima di mettermi la divisa da gara, invece, dalla grande finestra della mia camera, scorgo accadere l’inevitabile: la pioggia inizia a bagnare la calda Dubai. Ripensandoci anche l’anno prima, di nuovo a Berlino, solo il giorno della mia gara la temperatura si abbassò drasticamente, c’era piovischio e forte vento!
Decisi che non mi potevo ri-lasciare sopraffare da ciò che non è in mio controllo. Iniziai a pensare all’annata che mi aveva condotto fino a lì, alla forma che resisteva da metà febbraio, quando avevo stabilito il primo record italiano dell’annata, e che nonostante i 9 mesi passati non ero calata nelle prestazioni, anzi! Pensavo ai sacrifici fatti per poter gareggiare rinunciando e mettendo in secondo piano la famiglia, gli amici e l’università. Pensavo a quanto avevo creduto e sperato negli anni anni precedenti, quando vidi il mondiale di Londra sfumare per un niente. E pensavo, pensavo alla dedizione delle persone che lavorano con e per me in questo obiettivo condiviso, alla federazione che aveva creduto, scommesso ed investito molto in me. Per queste ed altre ragioni mi dissi che non mi sarei lasciata rubare la gara più importante della vita per dei futili eventi inattesi.
All’ingresso della call-room non potevo essere più carica. Nel riscaldamento il coach, che ormai era diventato confidente, mi disse che stavo bene e che avevo tutte le carte in regola per fare una bella gara. In effetti avevo ottime sensazioni e mi sentivo invincibile.
In gara la situazione cambiò, iniziai a sentire la tensione, ma era negativa. La cinese, già primatista mondiale, fece il record mondiale al primo salto, fermando la gara per 40 minuti per pratiche di ufficialità.
5,22 mt, impossibile per me!
Mi resi conto ancora una volta, di non essere alla pari delle mie
avversarie. Loro hanno delle abilità fisiche superiori alle mie e, nonostante
mi fosse chiaro fin dal 2014, con la prima classificazione internazionale,
vederne così tante tutte assieme che facevano atletica da poco ed avevano già
ottenuto risultati maggiori dei miei, mi fece arrancare.
Nonostante ciò entrai tra le sei finaliste, con tutti e 6 i salti, ma la
mia gara finì al terzo. La tensione divenne insopportabile, e commisi vari
errori tecnici.
La misura migliore? 3.99m. Non era male in fin dei conti, considerando che
avevo fatto il personal best 5 mesi prima di soli 7cm in più. Ma avrei voluto di più.
Fu dura accettare la sconfitta personale nel non essermi superata; ricordo
in diretta RAI post-gara le lacrime di rabbia scrosciare dal mio viso, e la
Caporale che tentava di consolarmi invano.
Già la settimana seguente, dopo essere tornata dall’esperienza che mi più mi ha arricchito e fatta maturare di tutti gli 8 anni nell’atletica, ridevo. Ridevo per la mia competitività, per la mia voglia di migliorare, per la mia caparbietà nel proseguire nonostante la categoria non mi rendesse giustizia.
Riflettei. Ero stata l’unica atleta con cerebrolesione acquisita ad aver
raggiunto una finale mondiale nella mia categoria. Avevo la possibilità di
continuare a segnare la strada per chi è come me e battermi per il diritto di
avere una categoria che sia degna della nostra diversità; di ciò ne avevo
parlato (a mia insaputa), il giorno dopo la mia gara, con un dirigente del World
Para Athletics che fu molto comprensivo e mi assicurò che ciò che ci dicemmo non
sarebbero rimaste a lungo parole invane.
Quindi nonostante la giornata storta, nonostante le preoccupazioni e nonostante il risultato finale di quella gara, sono soddisfatta di tutti i traguardi raggiunti negli anni che mi hanno portato dove sono ora, con una consapevolezza maggiore di ciò per cui mi voglio impegnare.
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