Decisi che, dopo il basket, la danza e il nuoto avevo
finalmente trovato lo spazio che più mi rappresentava e mi faceva star bene, e
che non l’avrei mai lasciato.
E così feci, anche quando i medici mi diagnosticarono una
malattia genetica rara della vista che avrebbe lentamente rubato nitidezza alle
immagini. Travolta dallo sconforto appesi per qualche tempo le scarpette al
chiodo incapace di affrontare le difficoltà emotive e fisiche che la perdita di
vista mi sottoponeva.
Poi conobbi la Fispes, e la pista fu di nuovo sotto i miei
piedi,., con una aggiunta: un cordino e Giulia.
Ci siamo conosciute un anno fa, quando ho iniziato ad aver
bisogno di una guida per continuare a praticare la mia più grande passione.
Lei, ex ostacolista, aveva smesso di allenarsi da qualche tempo e non riuscendo
ad abbandonare totalmente l’atletica decise di offrire i suoi occhi per
condividere insieme a me le emozioni della corsa.
Due modi di correre diversi, lei una falcata ampia, io più
frequente. Due braccia che quindi dovevano coordinarsi, precise ed efficaci
perché il rettilineo è breve e la sintonia è fondamentale
Impegno, costanza, tenacia e sorriso. Allenamento dopo allenamento
abbiamo scoperto di essere legate oltre che da un cordino da un’amicizia
sincera e da una fiducia reciproca che ora ci rendono inseparabili.
Quando le dissi che eravamo state invitate a partecipare al
Golden Gala nel giugno 2019, dall’altra parte del telefono lei fu incapace di
trattenere un grido di gioia. E da quell’annuncio fino al giorno in cui
varcammo la pista dello stadio olimpico, lei non smise di ripetermi il suo motto
”non dire gatto se non ce l’hai nel sacco!”. Non voleva credere che fosse vero
partecipare a quell’evento non come spettatrice abituale, ma come atleta.
Insieme all’entusiasmo però anche tanta preoccupazione e
tanti dubbi... correvamo insieme da solo un mese e molti erano i dettagli
tecnici da sistemare. La partenza dai blocchi, la coordinazione, l’attenzione
sul traguardo perchè io fossi più avanti di lei.
Così nelle settimane precedenti alla nostra prima gara,
sotto l’occhio attento di Elisa, la nostra allenatrice, abbiamo concentrato
tutte le energie nel tentativo di perfezionare al massimo in quei pochi giorni,
tutte le imperfezioni del caso.
Prima di partire alla volta di Roma, un’unica
raccomandazione da parte di Elisa: “Pensate solo a correre veloci, il resto
viene da sé!”
Elisa per me un esempio, tenace, tosta, sempre proiettata
oltre le difficoltà, incredibilmente pronta alla risoluzione dei problemi, una
super allenatrice e una super donna, che ci diede la carica per affrontare con
il giusto atteggiamento quella prima sfida.
Allo sparo quindi lasciammo da parte tutti i timori
determinate a dare del nostro meglio e a divertirci.
Tagliammo il traguardo per prime, registrando il personale
sui 100 metri, il risultato di un trio tutto al femminile che ci diede la
carica per affrontare la stagione agonistica appena iniziata. Io e Giulia ci
scambiammo i pettorali per scrivere dietro una dedica in ricordo della nostra
prima gara insieme e mi emozionai particolarmente alle parole di Giulia “Grazie
per avermi regalato un sogno”.
Ne fui colpita. Lei ringraziava me. Fui contenta e al
contempo sollevata di aver ricompensato il suo prezioso aiuto, la sua presenza
silenziosa ma indispensabile che mi facevano sentire in debito.
Credo che questo sia il ricordo più bello che mi porto di
quella sera, l’insegnamento che Giulia inconsapevolmente mi diede con il suo
inaspettato ringraziamento: la reciproca riconoscenza per la condivisione di
momenti ed esperienze che l’una dona all’altra.
Giulia mi dice spesso che conoscendo l’atletica paralimpica
ha conosciuto un’atletica nuova, che non aveva mai considerato, con dei valori
aggiunti preziosi: il condividere gli allenamenti, l’adrenalina della gara, la
fatica, il traguardo, le sconfitte, gli errori.. Lei non ha mai considerato l’atletica
come uno sport individuale, ma da quando corre come guida ha rafforzato ancor
di più questa sua convinzione ed è bello sapere, che anche chi fa da guida
possa provare emozioni forti, al pari dell’atleta con cui sta correndo.
Non so se mi sono spiegata bene, a volte il fatto di aver
bisogno di un braccio per camminare, di una persona che ti aiuti ti fa credere
di essere costantemente in difetto, in debito per la generosità e l’attenzione
che ti stanno dedicando. Invece ti accorgi che anzitutto chiedere aiuto non è
qualcosa di negativo e che senza saperlo dai la possibilità all’altro di
conoscere qualcosa di nuovo, dove magari trova spazio un lato nuovo di sé.
Giulia non sapeva cosa volesse dire guidare un atleta ipovedente,
e il fatto di averlo scopertole sta dando la possibilità di continuare a
praticare la sua più grande passione sotto un’altra luce, nuova e arricchente,
e di questo ne sono immensamente felice.
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